Abituare.
Raddoppiare certe consonanti non è un'abitudine lessicale labronica; ma esistono dei vocaboli che fanno eccezione, che probabilmente, nel tempo, sono stati imbrigliati e scompigliati dalla multietnia che rende la città così caratteristica e unica. Il verbo abbituà (romanesco, più che toscano), da sé dovrebbe dirla lunga su quanto il livornese sia una miscela detonante di lingue e di costumi. Ho quindi pensato che tali vocaboli, essendo rarità sintomatiche di un prodigioso guazzabuglio culturale, meritassero almeno una breve menzione.
Tranello bonario, preparato di nascosto ai danni altrui, affinché la vittima "abbocchi" come un pesce all'amo. È uno scherzo di carnevale praticabile 365 giorni all'anno, di cui il livornese fa largo impiego.
Per un pelo, giusto giusto.
Chinare, abbassare. Il riflessivo è acchinarsi, pronunciato acchinassi.
Locuzione che significa «È già molto, accontentiamoci».
Africa.
Anche il fiorentino raddoppia la f di Africa, con la differenza che egli aspira la c, dice infatti Affriha.
Africano.
Verbo che indica il disagio fisico provocato dalla fame, dalla sete, dal sonno e da altre sgradevoli sensazioni.
Aggaì appartiene a quella lunga serie di vocaboli che ognuno interpreta a modo proprio, quindi la mia definizione potrebbe sembrare ottima per Tizio e pessima per Caio.
D'altronde non si può pensare che un termine dialettale indichi qualcosa di preciso e indiscutibile, né che il suo significato rimanga immobile nei secoli, tantomeno che il modo di usarlo sia identico in tutte le zone della città. Non me ne voglia, Caio.
Aggrovigliare, attorcigliare.
Interiezione che esprime disgusto. Come ibò.
Vedi oimmèi.
Vedi oimmèi.
Vedi oimmèi.
Esclamazione che sta per «Attenzione! Occhio!»
Variante di aiò.
Può avere un'infinità di significati e sfumature, dipende dal contesto e dal modo in cui il vocabolo viene pronunciato. Si può partire da indigente, ridotto in miseria, sfortunato, vittima della società; per passare da lezzo, puzzolente, trasandato, barbone, schifoso; fino a ignorante, povero inetto, inesperto, o incapace di riuscire in una qualsivoglia attività. Addirittura, l'appellativo di allezzito può prenderlo un micragnoso, anche se ricco sfondato. È un termine estremamente difficile da comprendere, se non si conosce a fondo la lingua livornese e "livornesità" di chi la parla.
Certamente deriva da almanaccare, che in italiano significa fantasticare, ingegnarsi, progettare, escogitare.
La versione labronica ha lo stesso significato, ma con una sfumatura lievemente diversa: per ammanaccà occorrono anche le mani, non basta solo la mente.
Il bambino che impugna cacciaviti e pinze, che rufola nei cassetti in cerca di radioline da smontare per trasformarle in catapulte e dischi volanti, è un figliolo che ammanacca.
Marcire.
Il significato che riporta il vocabolario italiano del verbo ammattire lo conosciamo tutti: «diventare matto, impazzire».
Lo stesso verbo, anche a Livorno può significare «impazzire», ma è più frequente usarlo intendendo «perdere troppo tempo nello svolgere un compito».
Ammoniaca.
Anice.
Anche.
Gridare «annacqualo!» è un modo scherzoso per dare dell'ubriaco a qualcuno: si invita l'amico o il conoscente a diluire con acqua il troppo vino che beve. Non ha importanza se quest'ultimo è un vero bevitore o un astemio, conta solo trattarlo da avvinazzato e rintronato.
Antipatico.
Fastidio, tedio, uggia.
È un vocabolo interpretabile e soggetto a mutazione. Per esso vale quanto detto su aggaì.
Interiezione atta a rafforzare il vocativo, il corrispondente di o nella lingua italiana:
- Ascoltami, o mio Signore!
- O Madre celeste, intercedi per noi!
Il livornese, che non è propriamente un sofisticato, usa il vocativo quasi esclusivamente per ingiuriare (anche e soprattutto scherzando):
- Aó brodo!
- Aó stronzolo!
- Aó caàta!
Lapis.
Si dice di un indumento che sta troppo preciso indosso.
È un aggettivo mal traducibile, che può considerarsi affine a striminzito, ritirato, invecchiato, infeltrito, corto, stretto, liso.
Temperamatite.
Radio, radiolina. Plurale: aradi.
Esclamazione che esprime disappunto sul ripetersi di un evento sgradevole. Qualcosa di simile a: «Oh no! Di nuovo?»
Volendo, può essere pronunciata aridanniene o aridannene.
Riecco, ecco di nuovo.
In italiano, uno dei tanti modi per dire a tutto gas, a tutta forza, a tutto volume, è a tutta randa. Si prende in prestito la randa (un tipo di vela) dal gergo marinaro e la si usa nella succitata locuzione.
Il livornese si comporta come gli altri, con la differenza che la fa più spiccia: toglie di mezzo il tutta e dice semplicemente a randa, pronunciato arranda.
Variante di razzata.
Reggere, tenere, trattenere.
Ribaltare, capovolgere. Il riflessivo è arribartàssi.
Oppure: ecco ' pisani (l'articolo "i" si pensa ma non si pronuncia).
Locuzione che significa «sta arrivando il sonno». Viene usata principalmente di sera, quando si vede il bambino che inizia a sbadigliare: inequivocabile segnale che è giunta l'ora di andare a nanna.
Arrivare ultimi o con gran ritardo. "Dopo la polvere" che gli altri (si presume podisti o cavalli) hanno sollevato durante la corsa, ormai terminata da un pezzo.
Rizzare, sollevare.
Verbo che indica il disagio fisico provocato dal freddo. Sinonimo di zizzolà.
Tantissimo, tantissimi, a iosa, a bizzeffe.
Arrondemàn sembra provenire da «Around the man!» l'esortazione spesso utilizzata dagli statunitensi durante la seconda guerra mondiale, indicante la volontà di accerchiare un ubriaco per quietarlo con maniere non propriamente cortesi, ossia riempiendolo di botte, un sacco di botte. Botte arrondeman!
P.S. Molti livornesi tolgono la enne finale: arrondemà.
Scaraventare, lanciare qualcosa sgarbatamente anziché porgerlo.
A velocità esorbitante, eccessiva.
Rovesciare, versare, far cadere qualcosa da un recipiente.
Può voler dire sia qualcos'altro, sia nient'altro.
Un tempo lo si sentiva pronunciare anche antro, alla romana: «me ne dia un antro po'». Oggi assai meno, antro è quasi scomparso.
Solo, soltanto, solamente.
Esiste ed è usatissima anche la forma contratta artr'e.
Scendere. In pratica l'esatto opposto di ciò che realmente significa ascendere, la cui a iniziale ha valore privativo:
La a iniziale dell'ascendere livornese, invece, non è affatto privativa: potremmo chiamarla eufonica, introduttiva.
Serbare, mettere da parte una cosa perché particolarmente cara, oppure per usarla in futuro.
Sistemare.
Avere molta fortuna.
Avere la coscienza sporca.
Avere una gran voglia di scherzare.
Emanare cattivo odore, puzzare.
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