Nella seconda accezione, ovviamente, la cenciata si può anche prendere, non solo dare.
Interiezione che può assumere innumerevoli significati, deducibili dal contesto, dall'intonazione della voce, dall'espressione del volto e da altri fattori.
Dé può voler dire tutto e il contrario di tutto; è assolutamente impossibile definire il criterio con cui viene usato. E al tempo stesso è inconcepibile che un livornese possa farne a meno per dialogare con i suoi concittadini.
La sua corretta grafia è:
1. dé con accento acuto;
2. de' con apostrofo.
Sono da evitare come la peste il dè (con accento grave) e il deh, che è un'antica esortazione del tutto priva di parentela con il dé livornese.
In caso di incertezza, tutto sommato è preferibile un bel de senza apostrofo, né accento, né altro.
Delinquente.
Variante di dé.
Nel lessico più comune il di è completamente scomparso, ma rimane ancora ben presente nelle rappresentazioni teatrali in vernacolo.
Ubriaco fradicio, "di colo", dal verbo colare.
Ghiaccio, freddissimo. Per rafforzare l'idea del freddo, spesso il diaccio viene accompagnato da stecchito o marmato: «diaccio stecchito», «diaccio marmato».
Giacere, stendersi, riposare.
Poco fa, poco prima.
I soldi dei bambini. Un po' come i citti.
Fare a fondo le pulizie di casa, togliere le ragnatele.
Autodemolizione, sfasciacarrozze.
Tonto, ritardato.
Domo non è che abbia un significato particolare, ma ha una funzione specifica: sostituisce culo nel celebre "vaffa".
Il livornese, quando ha bisogno di imprecare o di mandare al diavolo qualcuno senza oltrepassare un certo grado di volgarità, dice «Vaffandomo».
Identico compito viene svolto da tasca: «Vaffantasca!»
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